Alpha Ursae Minoris, un libro coraggioso

È stata per me una piacevole sorpresa leggere il bellissimo libro di Vladimiro Forlese, perché lo conoscevo solo come intenso, lirico poeta. Questa volta l’A. si spende in un tema fortemente sociale ed etico. Realistico e verosimile il primo dei tre racconti ci parla di rifiuti tossici radioattivi e ci descrive le tremende difficolta di una giovane donna magistrato, ostacolata in tutti i modi dalle forze politiche e da altri poteri occulti fino a farle perdere la ragione. Tutto il nostro attuale, squallido quadro politico ci passa davanti agli occhi oramai abituati alle più squallide brutture, e solo la lotta di tre onesti, valorosi giornalisti ci regala una boccata d’aria fresca. Il secondo racconto riguarda il pensiero della giovane donna entrata in magistratura, che cerca solo giustizia e verità. Il terzo è la storia di Luca, fuggito in Grecia per sopravvivere agli attentati. Bello, affascinante, avvincente, questo libro non può lasciarci indifferenti perché racconta la nostra storia, una storia fatta di intrallazzi, imbrogli, sopraffazioni, indifferenza al bene pubblico e uso disonesto della politica. È un grido di dolore che non può non essere ascoltato: un paese laido, opportunista, disonesto inaccettabile sfila sotto i nostri occhi, un paese che vorremmo non vedere mai. Un thriller, ma anche un romanzo etico e sociale, un libro di denuncia  e di sfida. Splendide e indimenticabili le bellissime figure femminili delle mogli dei tre giornalisti, solidali e coraggiose accanto ai loro uomini che lottano per la verità. Qualcuno verrà eliminato, uno si nasconderà in Grecia per sfuggire agli attentati degli intoccabili farabutti. Questo libro è però anche un’intensa poesia della vita, dell’amore, della solidarietà, del coraggio, dopo averlo letto ci sentiamo tutti migliori, più motivati e più saggi. Come dice Luca: “Forse bisogna ricalcolare tutto”.

Recensione di Ornella
http://ilmiolibro.kataweb.it/community.asp?id=90179

Alpha Ursae Minoris

  

Dopo due libri di poesie, eccovi il mio primo romanzo: Alpha Ursae Minoris, ambientato in Italia agli inizi degli anni ’90, in quel cruciale periodo che segna il passaggio dalla prima alla cosiddetta seconda repubblica, con l’avvento sulla scena politica del partito berlusconiano.

   I protagonisti della vicenda sono tre giornalisti e una giovane giudice alle prese con un’intricata storia legata al traffico internazionale di rifiuti tossici ma anche con oscure trame di ambienti politico-economici volte a destabilizzare lo stato democratico.

   Il romanzo si articola in tre racconti: Il Gran Galà del direttore, La nomina e Alpha Ursae Minoris.
Se volete, a questo link potrete leggere 56 pagine di anteprima.

http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=909105

   Spero qualcuno abbia voglia di leggere e commentare
Un saluto
Vladimir

Costa fatica far girare il sole

.
. scusate se faccio un po’ di auto-promozione, ma è finalmente uscito “Costa fatica far girare il sole“, una silloge di mie poesie pubblicate sul vecchio blog che avevo su splinder.
Mi farebbe piacere qualcuno andasse sul sito dove compare in vetrina, lasciando qualche commento.
Grazie e a presto

Vladimir

Umberto Galimberti

Ciò che non si riesce più a far con l’anima lo si fa con la chimica

Il nichilismo, ovvero il momento in cui
“i valori supremi perdono il loro valore”,
è l’ospite che si insinua nella formazione dei giovani,
schiavi dell’età della tecnica.
Inutile scacciarlo, quell’ospite, dice Nietzsche,
bisogna guardarlo in faccia.

Il nichilismo che è la negazione di ogni valore è anche quello che Nietzsche chiama “il più inquietante fra tutti gli ospiti”. Siamo nel mondo della tecnica e la tecnica non tende a uno scopo, non produce senso, non svela verità. Fa solo una cosa: funziona.
Finiscono sullo sfondo, corrosi dal nichilismo, i concetti di individuo, identità, libertà, senso, ma anche quelli di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si è nutrita l’età pretecnologica.

Chi più sconta la sostanziale assenza di futuro che modella l’età della tecnica sono i giovani, contagiati da una progressiva e sempre più profonda insicurezza, condannati a una deriva dell’esistere che coincide con il loro assistere allo scorrere della vita in terza persona. I giovani rischiano di vivere parcheggiati nella terra di nessuno dove la famiglia e la scuola non “lavorano” più, dove il tempo è vuoto e non esiste più un “noi” motivazionale. Le forme di consistenza finiscono con il sovrapporsi ai “riti della crudeltà” o della violenza (gli stadi, le corse in moto ecc.).

C’è una via d’uscita? Si può mettere alla porta l’ospite inquietante? Nell’ultimo capitolo, Il segreto della giovinezza, Galimberti lascia pensare che disvelare ai giovani la loro “pienezza”, la loro “espansività” sia il primo passo per ricondurre a verità il salmo 127: “Come frecce in mano a un eroe sono i figli della giovinezza”.

    ° ° ° ° ° ° ° ° ° °

Gioventù, quel male oscuro

I giovani? “Stanno male”, ma non a causa delle classiche “crisi esistenziali”. In gioco c’è un demone più oscuro, il nichilismo, che si è impadronito delle loro vite, distruggendo qualsiasi gerarchia di valori che consente di dare alle cose mi significato: la loro malattia è “culturale”. È questa la tesi di fondo del libro di Umberto Galimberti, L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani.

Secondo il filosofo-psicanalista, l’”uomo non ha mai abitato il mondo” così com’è, ma sempre una sua “rappresentazione”, che di volta in volta è servita per fornire gli strumenti essenziali per interpretare la realtà, consentendo a ciascuno di trovare una posizione certa tra “le cose di lassù” e “le cose di quaggiù”. Una bussola, insomma, con la quale orientarsi per distinguere il bene dal male, il vero dal falso.
Oggi, però, le domande sul senso delle cose non hanno più risposta. La tendenza della cultura occidentale, infatti, è quella di emarginare la componente umanistica dei saperi, dando spazio solo a ciò che serve al perfezionamento della tecnica. Ma la tecnica non è competente a inscrivere se stessa in uno scenario di significati: il suo compito è funzionare.

Così, senza bussola, lo spirito (non solo dei singoli) si ammala. Con la conseguenza immediata di mutare il segno del futuro, che i giovani avvertono come minaccia e non come promessa. E allargare all’estremo lo spazio del presente, che diventa, invece, “un assoluto da vivere con la massima intensità, non perché dia gioia ma perché promette di seppellire l’angoscia” generata dal “deserto del senso”.

Il merito di Galimberti è quello di fornire degli strumenti consistenti per comprendere ciò che abbiamo sotto gli occhi. Certo, gli si può appuntare una dose eccessiva di pessimismo, ma, dalla “seduzione della droga”, sintomo del disagio diffuso, all’“analfabetismo emotivo”, a cui, secondo Galimberti, è imputabile la facilità con cui sono commessi omicidi senza movente, i temi ci sono tutti.

E di bruciante attualità, come la violenza negli stadi. “Emblematica” del nichilismo imperante, perché è esercitata senza “uno straccio di giustificazione”, e con una cadenza settimanale, “ritualizzata”. Ma “siccome la routine annoia, i “criminali da stadio” si comportano come drogati, aumentando la dose per “allontanare la noia sempre incombente”..
di Nicola Miranzi

Ecstasy nichilista

Formula drammatica e antichissima: il piacere è negativo, e il desiderio è insaziabile. Vale per il cocainomane del 2007, ma l’aveva già capito Platone. Indagando il desiderio umano, Platone ne aveva colto l’insaziabilità come essenza, rimandando alle immagini della giara bucata o del piviere nel Gorgia (il piviere inteso come uccello prodigioso, o macchina celibe, che mangia e nel contempo evacua).
Da questa considerazione per nulla inattuale parte Umberto Galimberti in un capitolo centrale del suo saggio L’ospite inquietante, sottotitolo “Il nichilismo e i giovani”. E l’ospite inquietante, anzi “il più inquietante degli ospiti”, è la famosa espressione con cui Nietzsche descrive il nichilismo nei Frammenti postumi.

La droga è un sintomo cruciale della “voluttà nichilista” che pervade le tribù giovanili, i loro comportamenti individuali e di gruppo. La droga come anestetico delle passioni e della fatica di vivere. Il valore anestetico è appunto il valore nichilistico. Perché chi indulge alle droghe, nelle varie forme di dipendenza, farmaci e alcol inclusi, è dominato da una pulsione ricorrente, “implacabile e coatta”, che non riesce a soddisfare mai. Il desiderio del tossicomane è vivo perché insoddisfatto, e insoddisfatto perché negativo. Il tossicomane, argomenta Galimberti (che è persuasivo in materia perché ragiona da filosofo e psicoanalista insieme), non cerca l’appagamento, vuole solo compensare le pene dell’insaziabilità. E dunque: droga, anestesia, nichilismo.

Galimberti riprende, un po’ a sorpresa, il primo Freud degli studi sulla cocaina (gli anni intorno al 1885), cocaina che il fondatore della psicoanalisi assunse per motivi di studio, e che all’epoca chiamò “Sorgenbrecher”, in italiano scacciapensieri, nel senso di assunzione che rompe, che interrompe i pensieri ansiogeni. Al tempo stesso l’autore recupera il tardo Freud, quello del Disagio della civiltà (che è del 1929-30). Nella crescente diffusione delle droghe come anestetico esistenziale, dall’hashish all’eroina all’ecstasy, egli vede oggi il sintomo del disagio culturale e valoriale (appunto l’“Unbehagen”di Freud).

Il nichilismo giovanile si manifesta in tante forme: tendenza suicidale, anoressia, violenza da stadio, bullismo scolastico, fino alle pietre dai cavalcavia e all’annullamento dell’io nella musica tedino. Ma è forse nell’abuso di droghe che il filosofo-psicoanalista vede l’esempio più incisivo della ‘macchina del nulla’, il circolo vizioso che il tossicomane ben conosce, il piacere impotente. Tipico il piacere dell’eroina: “Chi lo cerca non vuoi sentir di più, ma sentir di meno. Passaggio, questo, che si riallaccia ad anni di lavori di Galimberti sul declino culturale in atto della tecnica, che crea spersonalizzazione, solitudine, anomia. E la paura di non essere all’altezza di una società prestazionale, competitiva, inarrestabile. “Ciò che non si riesce più a far con l’anima lo si fa con la chimica”.

L’autore invita tutti, ragazzi, genitori, educatori, a uscire dalla nebbia dell’approccio ideologico e del facile moralismo. La droga è anche, parzialmente, piacere. E’ evidente, negarlo è puerile e dannoso. La distinzione tra droghe leggere e pesanti inizia a essere sorpassata. Occorre invece avviare, scrive, una “cultura della droga” a partire dalla scuola (e, con qualche ironia, “dal suo sostituto, che è la televisione”). E urgente studiare e discutere senza paura “che effetto fa, che danni procura, che piaceri promette e da che visione del mondo scaturisce”. Un approccio da professore? Da intellettuale che ancora crede nella conoscenza dialogica come argine alle spinte autodistruttive? La risposta è lasciata ai lettori.
Galimberti si permette di parlar chiaro (o scorretto) come osano in pochi. Più volte scrive “il drogato”, mai “il tossicodipendente” . Si è stufato anche il filosofo, di girarci intorno?
di Enrico Arosio

L’ospite inquietante
I giovani e il nichilismo
Umberto Galimberti
Feltrinelli editore

Ecco un buon libro…

Antologia della letteratura fantastica

Verso la fine degli anni 30 tre amici di Buenos Aires — Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares e sua moglie Silvina Ocampo — decidono di inventare una sorta di personalissima antologia dei propri autori preferiti. Nasce così, nel 1940, questa“Antologia della letteratura fantastica,” una silloge di settantacinque racconti fantastici: da Niu Sengru a Martin Buber, da Lewis Carroll a Cocteau, da Chesterton a Joyce, da Kafka a Kipling. Naturalmente, il “fantastico” va inteso in senso borgesiano: una letteratura segnata dall’immaginario e da un nuovo modo di rappresentare la realtà, che determina una rottura con la tradizione realista in voga negli anni Trenta, e che nulla ha a che vedere con il genere “gotico.”

“A volte ristampano…” e qualche titolo storico ritorna a farsi disponibile per il grande pubblico.

Era uscita nel 1981 presso Editori Riuniti, riproposta quindi in brossura nel 1997 per poi sparire ancora dagli scaffali in un vuoto decennale fino a questa nuova edizione di Einaudi, forse nominalmente tascabile ma non esattamente economica. L’Antologia della letteratura fantastica selezionata da Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares e Silvina Ocampo è una delle non molte pietre miliari nel suo genere, raccogliendo esempi di un fantastico letterario al di là dei sottogeneri, più o meno popolari, e della centralità dell’anglofonia che almeno allora sembrava dominarne il panorama.

Scrive nella prefazione Bioy Casares: “Una sera del 1937 parlavamo di letteratura fantastica, discutevamo i racconti che ci sembravano migliori; uno di noi disse che se li avessimo riuniti […], avremmo ottenuto un buon libro.”

Un buon libro di certo, che in tutto il ventesimo secolo avrebbe influenzato la percezione e l’accoglienza del fantastico, mai del tutto accettato a pari dignità letteraria. Secoli di letterature al di fuori e al di là dello stretto realismo che, in questo volume, spaziano dal Settecento cinese di Tsao Hsueh-Chin al Giappone moderno di RyÅ«nosuke Akutagawa; dal latino classico di Petronio Arbitro all’italiano di Giovanni Papini, passando per l’Europa e le Americhe tra nomi celebri e altri meno noti: Bloy e Cocteau; Cortàzar e Lugones; Poe e Wells; Lord Dunsany e Olaf Stapledon.

Antologia della letteratura fantastica
a cura di Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares, Silvina Ocampo
collana ET Biblioteca, Einaudi, 2007
brossura, XXX-538 pagine, Euro 17,80
ISBN 8806186353

Cinema, Loach

tratto dal blog Frammentidipensierisparsi

                  

In questo mondo libero
Un film tristemente spietato, testimone di una parte di quel mondo del lavoro londinese che si chiama lavoro nero. Loach ci racconta il mondo del lavoro sommerso, del lavoro precario, dei lavoratori immigrati dall’est.
Ci racconta anche la vita di Angie, ragazza madre, licenziata in tronco che decide di mettersi in proprio alla ricerca di braccia giornaliere di lavoratori immigrati. Oggi offre lavoro, domani chissà.
Il film è spietato, come la bravissima protagonista, pronta a tutto pur di trarre il suo guadagno. Non vi racconto altro del film. Vi rovinerei la visone. Se avete apprezzato “Rif Raff”, “Piovono Pietre” e “My name is Joe” di Loach allora non perdete quest’ultimo film di Loach.


Dice Loach: “Lo sfruttamento del lavoro e la sua flessibilità sono il cuore dell’attuale sistema economico ed è interessante osservare l’ipocrisia con cui da un lato si predica che senza la forza lavoro sotterranea la nostra economia, di destra, non sopravviverebbe; e nello stesso tempo la politica, di destra, proclama la necessità di espellere queste persone nel timore che prima o poi si ribellino alla schiavitù”.

<!–

–>

Riso amaro

Benvenuta la catastrofe
di Dario Fo

Il dramma dell’inarrestabile surriscaldamento terrestre non sembra sollevare timori e preoccupazioni eccessivi nella gran parte della popolazione del pianeta, ma esiste un certo numero di cittadini per i quali al contrario il problema sta diventando una disperata ossessione. Io personalmente, lo devo ammettere, faccio parte da tempo di quest’ultima categoria. Non perdo occasione, appena incontro qualcuno, sia maschio che femmina, sia giovane che anziano, di sollevare il problema e di tentare il loro coinvolgimento col classico approccio: “Ha notato? Non c’è proprio più stagione…un momento si scoppia dal caldo…all’istante c’è tempesta, grandine e perfino neve…”.

I più scantonano, ma se l’interlocutore abbocca è spacciato. Gli tengo una concione sugli effetti dell’inquinamento da stordirlo. Ci provo anche in taxi col conducente e perfino in autobus, sia con passeggeri sia con il responsabile che controlla i biglietti. Non parliamo poi, quando mi ritrovo a viaggiare in treno… guai se qualcuno mi chiede di essere fotografato con me mostrando il cellulare: lo faccio subito accomodare nella poltrona vicino, se non c’è posto lo prendo addirittura sulle ginocchia, e qui al par d’un ragno, inizio a tesser la tela. Qualcuno, pur di salvarsi dall’aggancio, scende qualche fermata prima!

Un giorno sull’aereo Palermo-Milano, ho agganciato una bellissima signora, anziana ma di un’eleganza raffinata…sembrava uscita da una sequenza del Gattopardo di Visconti. Appena ho accennato al disastro atmosferico, mi ha afferrato una mano e accarezzandola mi ha supplicato: “Oh sì, me ne parli! Mi interessa moltissimo”. Comincio la mia lezione con entusiasmo: “Vede, il problema è complesso e articolato. Ormai non c’è quasi più nessuno che non ammetta la responsabilità dell’uomo riguardo alla condizione del pianeta e al suo surriscaldamento. Ma esplode una feroce diatriba appena si comincia a discutere del come salvare la Terra e ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica, tonnellate di gas tossico che letteralmente intasano l’atmosfera”. La signora mi segue come incantata. Io incalzo: “Sorgono tre categorie di pensiero. C’è chi dice basta diminuire per gradi ma drasticamente l’uso dei motori a scoppio con propellente fossile, eliminare le vecchie caldaie per il riscaldamento delle case e degli uffici e installare nuovi impianti di eolico, solare e, perché no?, anche nucleare…”.

La signora ha un sussulto. “Certo – la tranquillizzo schioccandole un piccolo bacio sulla fronte – non si preoccupi…Oggi come oggi, riprendere col  nucleare è una soluzione improponibile…a parte la produzione di scorie radioattive che tuttora non sappiamo dove e come sistemare…sto parlando delle centinaia di migliaia di tonnellate che l’America e l’Europa, Russia compresa, hanno prodotto dall’inizio del nucleare e che non siamo ancora riusciti a smaltire, se non collocandole in luoghi e spazi provvisori come lo Utah che è diventato un’orrenda discarica di morte…operazione con un costo all’infinito di miliardi di dollari. Ma lo sa che per riuscire a produrre energia pulita e sufficiente per il cinquanta per cento del fabbisogno globale dovremmo costruire una centrale nucleare al giorno per i prossimi sessantatre anni?”.
La signora con un sorriso dolcissimo stampato in viso, accenna ad un abbraccio poi si compone imbarazzata. “Quindi non ci resta – incalzo io – che scegliere le cosiddette energie eco-compatibili che produrrebbero elettricità e altre energie accettabili ma in grado di soddisfare solo una percentuale minima del nostro fabbisogno”. “E quindi? – mi chiede la deliziosa creatura che ormai pende letteralmente dalle mie labbra – E allora?”. “Se l’intera umanità, i governi, i produttori, gli stati, non si impegnano in un’azione stravolgente, creando nuovi sistemi produttivi potenti e non inquinanti, siamo alla fine”.
La signora, con un’espressione addolorata implora: “Oh, salvaci!”. E si butta tra le mie braccia.

“Faremo l’impossibile…dando per certo il cambio di rotta definitivo dei paesi occidentali altamente industrializzati e all’avanguardia, il problema saranno poi i paesi orientali emergenti, che vogliono assolutamente raggiungere il nostro livello di vita e di ammodernamento tecnologico, quindi si rifiutano di aborrire i propellenti fossili”.
La signora, sconvolta, si stringe sempre più a me tremante, e mi inonda di lacrime. Non posso fare a meno di tranquillizzarla: “Ma vedrà che si troverà il modo di uscire indenni da questa tragedia”. Giungiamo a Milano. Dal fondo del corridoio appaiono un medico e un infermiere. Caricano su una sedia a rotelle la signora che non abbandona mai la mia mano. “Grazie di avermi regalato questo stupendo viaggio – dice mentre la legano alla poltrona mobile, poi aggiunge – Lei dovrebbe fare l’attore”. Il medico si rivolge a me e chiede: “Non l’ha importunata, spero. Purtroppo, ogni tanto, esce letteralmente di senno”. La signora è già in fondo al corridoio e rivolgendosi al suo accompagnatore esclama: “Che bella storia che mi ha raccontato quel signore. Era così romantica…mi ha fatto piangere. Peccato non sapere come finisce”. E’ proprio vero: il mestiere del divulgatore scientifico è carico di insidie e di delusioni.
Oltretutto, in questo periodo ho scoperto il significato profondo del termine oberato. Mi ritrovo ad essere oberato totale, aggredito ogni giorno da impegni che si sovrappongono. Sono costretto a declinare diecine di richieste ma appena mi giunge l’espressione disastro ambientale, effetto serra, scatto come un grillo esaltato. Non sto parlando di Beppe Grillo, l’esaltato in questione è un grillo normale.
L’altro giorno ho accettato perfino di partecipare ad un programma televisivo condotto da Giuliano Ferrara. Il tema neanche a dirlo era: Chi crede al disastro atmosferico? Avevo assistito qualche settimana prima ad un programma analogo sullo stesso tema condotto sempre da Ferrara, che esibiva in merito uno scetticismo sconcertante. Ironizzava su inchieste molto serie sull’ambiente, realizzate da scienziati di gran valore, come si trattasse di ‘bufale da venditore ambulante’. Il suo tormentone più o meno era: “Ma esiste davvero questo pericolo ambientale? Gli uragani e le stragi dello tsunami sono conseguenza dell’inquinamento o fenomeni occasionali che qualcuno ha interesse a trasformare in cataclismi apocalittici sui quali pompare e vendere libri, documentari e perfino film fantascientifici a gogò? Si sa, il disastro fa sempre cassetta!”.
Con lui, su un piano meno strafottente ma ugualmente carico di negazionismo scettico, c’era anche il fratello di Prodi, laureato in fisica e direttore niente meno che dell’Istituto Isac-Cnr. Anche in quest’ultima occasione lo scienziato faceva parte degli invitati, ma Ferrara non esibiva la sua normale sicurezza spacca tutto. Anzi come mi sono affacciato allo studio televisivo si è levato per salutarmi allargando le braccia festoso, ma non ce l’ha fatta: si trovava letteralmente incastrato tra la poltrona e la scrivania. Anche il fratello di Prodi, il professore di fisica, faticava a porsi in piedi. Ho notato che era fortemente ingrassato rispetto all’ultima trasmissione. Ferrara era del suo grasso normale, invece.
Ma no, mi sbagliavo. Guardando meglio il conduttore mi resi conto che il suo ventre stava invadendo l’intero piano del tavolo davanti a sé, strabordava con tutto il corpo. “Ma che succede”, dissi preoccupato. Giuliano singhiozzò e copiose lacrime gli sgorgarono dai grandi occhi. “Non so che mi stia capitando”, mormorava: “E’ dal giorno dell’ultima trasmissione sull’ambiente che entrambi (indicava il fratello di Prodi) siamo stati colpiti da questa maledizione: ci gonfiamo a vista d’occhio”. “E’ terribile”, commentai a mia volta. “Ma, scusate se mi permetto: non sarà a causa del frottolame denigratorio che vi lasciate sfuggire?”. I due si guardarono l’un con l’altro con un’espressione che non prometteva nulla di buono, poi all’improvviso in coro esplosero: “Sì, abbiamo proprio questo dubbio. Per essere sinceri noi non crediamo a ciò che andiamo sostenendo sul negazionismo scettico, ce lo siamo un po’ manipolato in negativo. Il fatto è che dal giorno in cui abbiamo incominciato a trattare in forma grottesca il problema del surriscaldamento terracqueo, ci stiamo dilatando come mongolfiere”.
“Ma scusate, non potete rimanere così inerti. Bisogna chiedere aiuto”. “E’ vero, aiutaci tu!”. “Tanto per cominciare, bisogna portarvi fuori da ‘sta trappola. Qui dentro vi sta mancando lo spazio”. “Hai ragione, ma come facciamo ad uscire, le porte sono ormai diventate troppo strette per noi”. Con uno zompo mi affaccio alla porta e urlo: “Chiamate degli operai! Bisogna sfondare la parete! Presto! Subito!”.
Nessuno si fa vivo, ma una voce dall’alto della scala grida: “Sono fuggiti tutti per via dello tsunami”. “Lo tsunami? In televisione? Ma dov’è?”. “Guarda fuori dalla finestra: si vedono onde grandi come palazzi, fra poco l’uragano sfonderà anche qui”. “Dario, aiuto! Portaci fuori da ‘sta trappola!”, mi imploravano Prodi e Ferrara sempre più incastrati. “Scusate ma m’è venuto in mente di un appuntamento, devo proprio lasciarvi, mi spiace. Spero di rivedervi”. Faccio per avvicinarmi alla porta ma arriva un’ondata terribile che squarcia ogni parete. Mi trovo trascinato dall’uragano. Mi escono bollicine dal naso e dalla bocca in quantità…Risalgo…spunto con la testa fuori dall’acqua…è tutto calmo. Ferrara e il professore emergono a loro volta galleggiando come due grandi boe. Sbattono braccia e gambe ridendo…“Siamo salvi! Si galleggia. Non si potrebbe avere un paio di remi?”. Ma all’improvviso tutti e due emettono un gemito lacerante: “Ahhh! Stiamo sgonfiandoci!”, urlano. “Aiuto!”. E’ vero, come palloni aerostatici sforacchiati si rimpiccoliscono velocemente, poi un piccolo scoppio…e spariscono. All’istante mi risveglio. Mi trovo seduto su una poltrona dove mi ero addormentato. Meno male era solo un brutto sogno, o meglio un incubo terribile.
In verità negli ultimi mesi qualcosa sta cambiando. Perfino Bush, figlio, nipote e amico di petrolieri e petroliere a sua volta, ha dovuto cambiare atteggiamento. Il Pentagono, meglio, uno dei più autorevoli generali del Pentagono, ha pubblicamente dichiarato con risolutezza, documentando ogni affermazione, che la guerra contro l’Iraq è stata organizzata nell’intento di bloccare il progetto di Saddam Hussein che, ancora alleato degli Stati Uniti, aveva deciso di dirottare i maggiori oleodotti del Paese verso l’Asia, invece che a vantaggio del Kuwait, deposito assoluto del mercato americano.
Inoltre gli scettici sono rimasti completamente spiazzati dalla notizia secondo cui la Exxon Mobil ha offerto diecimila dollari, evidentemente pro capite, a un certo numero di climatologi ed economisti che si sono prestati a offrire notizie positive riguardo la salute del pianeta. Non solo, la Royal Society ha accusato la stessa Exxon Mobil di aver distribuito 2,9 milioni di dollari alle lobby antiambientaliste perché minimizzassero rischi legati al cambiamento climatico.
Ma la gente, i governi, le aziende di tutto il mondo non si limitano più a dibattere dell’emergenza ambientale, stanno passando all’azione. Un po’ in ritardo, ma si muovono. Schwarzeggener, governatore della California, ha assicurato che ridurrà dell’ottanta per cento, da qui al 2050, i livelli di emissione di anidride carbonica rispetto agli anni Novanta. L’Unione Europea ha annunciato che taglierà le proprie emissioni di gas serra del venti per cento entro il 2020, aumentando al contempo del venti per cento la produzione di energia solare e di altre forme di energia sostenibile. David King, consigliere capo scientifico del Regno Unito, ha ribadito che ci troviamo in grave ritardo. Continuando ad usare petrolio a questo ritmo, fra poco ci occorreranno almeno venticinque anni per disabituare la nostra civiltà ad utilizzare i combustibili fossili.
Gli oceani immagazzinano il calore per secoli e l’anidride carbonica resta nell’atmosfera per decenni. Con questa prospettiva c’è da mettersi le mani nei capelli e urlare disperati: ma con che razza di politici ritardati e criminali abbiamo a che fare? Possibile che non siano in grado di capire la terribile situazione? A questo proposito il nostro governo, in Italia, ha mostrato un programma serio e fattibile o naviga sperando in Dio? Non c’è da scherzare. Perfino il Papa, qualche giorno fa ha denunciato, al termine di un’omelia contro l’egoismo brutale della classe imprenditoriale: “Il capitalismo è il primo responsabile di questo rovinoso sfruttamento del pianeta”.
Ma basta con le notizie nefaste, è tempo di cambiare clima e copione. Mettetevi seduti comodi e rilassati, distendete tutti i vostri muscoli, soprattutto quelli del viso, esibite un’espressione serena, versatevi un bicchiere di vino, birra, anche champagne se ce l’avete – fresco mi raccomando! – e sorseggiate felici, sollevate il calice poiché vi sto per annunciare una notizia veramente straordinaria e finalmente positiva. Basta con questa sindrome della catastrofe imminente! Basta con gli annunci calamitosi! Basta con gli apocalittici film-documentari che accusano l’intera umanità, guidata da responsabili irresponsabili e da imprenditori e uomini d’affari interessati solo al profitto!
E ne abbiamo anche abbastanza delle diatribe furibonde fra i numerosi scienziati che preannunciano disastri imminenti e i colpevoli di questo funereo clima che immancabilmente rispondono: “E che ci possiamo fare noi? Blocchiamo l’estrazione di petrolio, carbon fossile e mandiamo allo scatafascio le industrie d’auto, camion, trattori, bulldozer, motorini, motorette? Fermiamo il riscaldamento e raffreddamento termico di milioni di case, uffici, ospedali? E non dimenticate – aggiungono i confindustriali – che il maggior numero di impianti per la produzione di energia elettrica funziona ancora grazie a propellenti fossili. Volete fermare il mondo e la sua vita?”. E allora come diceva Woody Allen: “Fermiamolo ‘sto mondo e scendiamo. No, anzi, scendete voi catastrofisti! Avremo finalmente un peso morto e petulante in meno”. No, tranquilli, non ci sarà nessuna imminente fine per l’umanità, anzi potremo assistere a una rinascita favolosa del pianeta e a un radioso futuro per uomini, donne, animali, alberi e fiori. Questa è la meravigliosa notizia che vi porto! Il pianeta non soccomberà né oggi né domani, non ci sarà la catastrofe, al contrario sta per realizzarsi il grande ribaltone, un cambio di rotta straordinario che pochi illuminati avevano previsto e calcolato.
Di che si tratta? Attenti! A questa notizia alcuni grideranno al disastro immane, altri, gli eletti, applaudiranno entusiasti al miracolo, opera di un dio generoso che vuole la nostra salvezza. D’altra parte Einstein ci aveva più volte avvertiti: “L’universo è colmo di sorprese festose e crudeli”, e aggiungeva: “Non dimentichiamo, che senza le grandi catastrofi l’uomo oggi non esisterebbe; noi siamo figli di una catena spaventosa di tragedie immani”.
Ma insomma, di che si tratta? Qual è questa catastrofe che ci salverà?! E’ semplice, la fine del petrolio!!! Cosa? In che senso? Siete rimasti attoniti eh? Increduli? Sì, è una questione di qualche anno, forse il prossimo: il mondo rimarrà all’istante senza propellenti fossili, tutti fermi, con le nostre macchine bloccate, le caldaie vuote, i generatori di corrente muti. No, non è uno scherzo…volete una prova tangibile? E allora rispondetemi: come mai soltanto negli ultimi anni il prezzo del petrolio è aumentato di ben otto volte e continua a montare? Dai diciotto dollari al barile di tre anni fa siamo saliti ai quarantacinque dollari di questi giorni. Alcuni studiosi del settore ce ne danno una risposta quasi ovvia: il prezzo del petrolio aumenta in maniera inversamente proporzionale al precipitare dell’offerta del prodotto sul mercato. In poche parole, cresce a dismisura perché non ce n’è più.
Non avete capito? I pozzi di petrolio sono ormai agli ultimi palpiti, molte di quelle pompe hanno cominciato ad aspirare fango puzzolente, invece dell’inebriante oro nero. Si potrà continuare a cavarne ancora qualche migliaio di tonnellate ma non ne varrebbe la spesa e la fatica. Quindi mettetevi il cuore in pace, addio alle quattro ruote, si torna all’età della pietra, meglio dei pedoni! Via!
Qualcuno di voi sorride. Sì, detta così sembra una boutade. Ma un giornale serio come l’Observer qualche giorno fa ha dedicato tutta la prima pagina del quotidiano a questa folle notizia. Innanzi tutto ci viene rivelato che da anni le imprese petrolifere in massa ci stanno spudoratamente mentendo: tutti i dati riguardanti la quantità del greggio estratto sono sempre stati pompati per farci credere che di petrolio ce ne fosse da buttare. “Ne abbiamo da cavare per almeno un paio di secoli e ogni giorno scopriamo nuovi giacimenti!”. Tutto falso.
L’anno scorso è stato pubblicato un libro che ha prodotto un certo scalpore. Il titolo ci dice già quasi tutto: La verità nascosta sul petrolio. Sottotitolo: Un’inchiesta esplosiva sul sangue del mondo, di Eric Laurent. Nel libro c’è un capitolo in cui viene presentato il pensiero di Jean Claude Balanceanu che nel 1979 era il massimo esperto dell’Istituto Francese del Petrolio. Nello stesso periodo, cioè trent’anni fa, lo scienziato dichiarava: “Lo slogan fisso della società dei consumi è Petrolio a volontà!Che cosa succederà il giorno in cui l’umanità resterà senza idrocarburi? Le strade rimarranno deserte, anzi di lì a poco non esisteranno più neanche le strade, a causa della mancanza di catrame e asfalto. Le pompe di erogazione spariranno. I commercianti – dal piccolo negozio sotto casa al supermercato, dai mercati rionali ai macellai – saranno obbligati a chiudere. Niente più trattori nei campi né aerei nel cielo. Tutte le navi saranno condannate a rimanere in porto. Niente più riscaldamento a gasolio e questo significa che la metà delle case, degli uffici, delle scuole, degli ospedali rimarranno al freddo d’inverno e nel bollore d’estate. Il sistema industriale sarà paralizzato. L’agricoltura tornerà indietro di un secolo. Quasi tutte le materie prime e le fibre artificiali scompariranno.
Vi ripeto: questa avvisata è stata scritta e divulgata quasi trent’anni fa, ma pochi ci hanno fatto caso. La nostra arroganza ci ha spinto all’oblio e all’incoscienza. Negli ultimi cento anni gli abitanti del nostro pianeta hanno condotto una progressione di vita davvero sciagurata. Negli anni Sessanta, il consumo di petrolio era di sei miliardi di barili all’anno e le scoperte assicurano una produzione dai trenta ai sessanta miliardi. In questo inizio di secolo il consumo è pari a trenta miliardi di barili all’anno e le nuove scoperte assicurano una produzione di soli quattro miliardi.
Alle soglie della Seconda guerra mondiale c’erano 2,3 miliardi di abitanti e 47 milioni di veicoli. Oggi ci troviamo con 6,7 miliardi di abitanti e 775 milioni di veicoli, più 200 milioni di camion. La popolazione cresce all’anno dell’1,3 per cento, il numero delle auto del 6 per cento. Negli Stati Uniti viaggiano 775 macchine ogni mille abitanti, il 25 per cento in più che in Europa e Giappone e l’Italia ha il record negativo d’Europa! Evviva!
Le riserve di petrolio, sia quelle americane che russe, sono state sovradimensionate dai rispettivi governi e produttori. Le cifre pubblicate sono da ridurre di oltre della metà. Giornalisti indipendenti hanno tentato più volte di smentire i petrolieri e le loro stime, ma sono stati censurati tanto nel cosiddetto mondo libero che nella Russia governata dagli oligarchi. Un imprenditore oligarca russo, il cui nome ci ricorda le farse sul potere di Gogol, un certo Khodorkhovsky, si era permesso di dare notizie vicine alla realtà sbugiardando i dati del regime e svelando che “oltre il sessanta per cento dei giacimenti si ritrovano sull’orlo dell’esaurimento”. Putin l’ha subito fatto arrestare. Da quel momento le notizie sul petrolio in Russia sono diventate segreto di Stato. Come la villa in Sardegna di Berlusconi…Lo stesso clima repressivo è prodotto anche da Bush, che qualche anno fa aveva ordinato di licenziare i ricercatori che propagavano notizie allarmanti sui pericoli cui va incontro il pianeta e sulle scorte di greggio.
Ma perché tutti questi potenti insistono a mentire sulle riserve del petrolio? Per evitare che ci si dedichi a progettare e produrre nuovi motori funzionanti con altri propellenti, non esauribili e alternativi al petrolio, oltretutto non inquinanti. Questo provocherebbe un crollo immediato del greggio restante. Ecco perché l’impero occidentale sostenuto e spinto dai petrolieri si è gettato in Medio Oriente in azioni militari di conquista rapide e insensate: libertà per gli oppressi e petrolio per noi! E’ risaputo che i grandi produttori di propellente fossile da sempre sono legati mano e piedi ai fabbricanti di auto, camion e moto. Per non parlare delle armi.
L’Indipendent ha inoltre svelato che l’ora zero in cui le pompe cesseranno definitivamente di succhiare si sta avvicinando inesorabile. Secondo gli scienziati del settore più accreditati ci sarà un picco di soli tre, quattro anni di crescita delle estrazioni, poi si produrrà un repentino crollo verticale. Le pompe diverranno all’improvviso reperti storici inutilizzabili.
Vedo qualcuno impallidire…Ma la gran parte di voi insiste nel definire questa nefasta avvisata una boutade goliardica. Vi ricordate la grande rivoluzione che esplose in seguito all’apparire del computer? Le macchine da scrivere diventavano all’istante apparecchi obsoleti da buttare, milioni di oggetti batti-parole che ci avevano accompagnato per una vita, all’improvviso gettati nella più puzzolente delle discariche. Lo stesso capiterà con le auto a benzina. Una strage di ferraglia premuta e impacchettata!
Così un bel mattino, magari a Milano o Roma o qualsiasi altra città dell’Italia o dell’Europa intera, ci alzeremo dal letto schiacciando il pulsante della luce e ci renderemo conto che nessuna lampadina si accende. Andremo alla finestra per far salire le tapparelle elettriche ma anche quelle non si muoveranno. Se ci troveremo d’estate ci renderemo conto che il condizionatore d’aria non funziona, che nel frigorifero sta tutto marcendo e che dai fornelli della cucina gas, gas non ne esce.
Ci precipiteremo fuori di casa e troveremo il bar nel quale abbiamo sempre consumato il nostro santo cappuccino con brioche, pieno, stracolmo di clienti che bestemmiano: “Neanche il caffè! Come si può iniziare una giornata senza caffè!”. “Ma che t’importa di ‘sta giornata! Tanto non puoi neanche andare a lavorare, la tua macchina è a secco e la tua fabbrica è chiusa per mancanza di materie prime. Fai conto che sia una domenica ecologica. Prova a respirare, sentirai che aria fresca!”. “Fresca un corno! E’ intasata più del solito, c’è un puzzo che schianti!”. “Beh, abbi fede, ancora una settimana, anche due…tre…magari un mese di questo black out e vedrai…pian piano l’atmosfera si purga”. “Si purga un cavolo! Ci vorranno vent’anni per ripulire l’atmosfera dalle tonnellate  di porcherie che ci abbiamo sparato”. “Esagerato…il solito pessimista…puoi scommetterci, fra qualche settimana respireremo che ci sembrerà d’essere in montagna!”. “Sì, bravo. In un’alta montagna di rifiuti! Se non passano i camion a ritirarli ci troveremo in una bella discarica. Peggio che a Napoli!”. “Ma che discarica? Per scaricare qualcosa bisogna possedere cibo da consumare, verdure da ripulire, rifiuti da gettare…”. “Eh che menagramo”. “Già! Chi non consuma non sporca! Infatti il più pulito è il morto di fame”.
Qualche minuto dopo nello spiazzo dove c’è il distributore, che ci si trovi a Parigi, a Boston o a Chicago, ma noi preferiamo immaginarci a Milano nei pressi di Porta Romana, proprio dove c’è il benzinaio, scorgerete una fila di macchine infinita: non c’è benzina, neanche gasolio. Aspettavano l’arrivo da un momento all’altro delle autobotti, ma qualcuno avverte che la situazione è identica in tutta la città. Anche la televisione non s’accende. Una radiolina a pile dà la notizia che le autostrade sono interamente sgombre. Anche i treni sono fermi in stazione. E’ un black out completo. Qualcun altro dà la notizia che l’esercito sta requisendo i depositi delle raffinerie. Il governo dichiara lo stato di emergenza, ma non trova il mezzo per poterlo comunicare ai cittadini. Imperterrite, televisioni e radio restano spente. I giornali si stampano con il petrolio quindi sono ferme anche le rotative, a parte mancherebbero i mezzi per distribuirli. I cellulari si stanno scaricando. Alcune piccole radio riescono ancora a trasmettere qualche notizia, per lo più catastrofica. Tanto per cominciare si viene a sapere che le azioni petrolifere sono crollate a picco, tutte insieme, e hanno trascinato nel baratro le numerose imprese che lavoravano materiale sintetico, coibenti, generi in plastica…il tutto per ottantamila prodotti derivati dal petrolio.

Gillo Pontecorvo

In cinquant’anni di cinema, Gillo Pontecorvo ha diretto solo cinque lungometraggi (anche perché sempre più spesso ripeteva che “le condizioni di libertà creativa necessarie perché il nostro mestiere possa essere anche arte sono sempre più rare…”) e ha vissuto una vita meravigliosa, da uomo felice. Era bellissimo da giovane, una stupenda faccia con occhi chiari, un sorriso e una voce accattivanti, un corpo piccolo di statura e perfetto, allenato dal tennis e dalla pesca subacquea. Amava il cinema, i prati e il giardino, amava il mare e la musica, era «molto portato» per le donne.

E’ morto a 87 anni l’anno scorso: «Questo mondo non gli apparteneva più», dice la moglie Picci. Lunedì, nell’anniversario della nascita nel 1919, viene presentato all’Auditorium di Roma, e trasmesso da La7 insieme con La battaglia di Algeri, il documentario inedito Gillo-Le donne, i cavalier, l’armi e gli amori di Annarosa Morri e Mario Canale, già autori di documentari su Mastroianni e Marco Ferreri.

Molto ben fatto. Molto commovente. In una bella intervista autobiografica Pontecorvo, coadiuvato da parenti e amici, parla di sè, evoca la diaspora della sua grande famiglia ebrea di Pisa (otto figli) costretta ad andare nel mondo per le leggi antisemite e poi per la guerra, racconta la sua vita. A Parigi nel 1938 (eccolo con Sartre e Picasso), a Saint Tropez con Amendola e Negarville; la lotta partigiana in Italia con la marcia alla testa della brigata Eugenio Curiel; il lavoro politico per il pci anche come direttore del settimanale giovanile Pattuglia; i film, la fama internazionale; la direzione della Mostra di Venezia (eccolo con Spielberg, con Pavarotti che canta per lui, con Umberto Eco, Lynch, De Niro, Nicholson, Antonioni). Mai alcun imbarazzo.

La battaglia di Algeri, film unico, è quello più amato nel mondo, ma lui amava di più Kapò. Provava il rimorso della cautela usata nell’ultimo Ogro, sull’attentato in Spagna al franchista Carrero Blanco, uscito dopo la cattura e uccisione di Moro («Secondo me è un film bruttarello»). Si pentiva della pignoleria mostrata in Queimada (foto) con Marlon Brando («Gli ho fatto rifare una scena 41 volte, alla fine neppure ci siamo salutati»). Dice la moglie: «Aveva bisogno di credere fino in fondo all’utilità del film». E Aldo Tortorella: «Non ha mai fatto un film senza un perché».
LIETTA TORNABUONI

90 anni fa la rivoluzione d'ottobre

                                 

[ Novant’anni di Rivoluzione. Un tempo enorme e che ormai appartiene al passato – dicono molti a destra e a sinistra; una tappa fondamentale della storia moderna, comunque la si pensi, dalla quale non si può prescindere – dicono altri.

Che appartenga al passato non c’è dubbio, ma su quel passato milioni di persone in tutto il pianeta si sono giocati il proprio futuro, lottando fino all’ultimo istante della propria vita. Che sia stato un evento dal quale per decenni nessuna scelta politica, in qualsiasi nazione dell’occidente abbia potuto prescindere è un fatto storico: la Rivoluzione era lì vicina, il suo fiato sul collo – dei sistemi capitalistici, dei potenti e dei ricchi della terra. Bisognava calibrare le proprie mosse .
bisognava concedere per non essere poi essere costretti a cedere … il potere. ]

E’ questo l’inizio di un ottimo articolo pubblicato da MegaChip a firma di Giuseppe Iannello che commenta due posizioni assai diverse riguardo a quell’evento cruciale per la Storia dell’umanità: quelle di Moni Ovadia e di Michail Gorbaciov

 
Rivoluzione, anticomunismo e utopia

Un altro addio

Ricordando Normann Mailer.
Contributo rubato d
al blog dell’amica Batsceba:
                                 
                           

– Il fine ultimo dell’arte è d’intensificare, persino, se necessario, di sviluppare, la coscienza morale della gente.
– Chi vuol bene alla gente, le proibisca qualcosa affinché goda della trasgressione.

è morto un uomo complesso e non etichettabile, mi chiedo se in quest’epoca piatta riusciranno ancora ad emergere uomini liberi. Le voci dell’arte sono appiattite e fasulle. Le voci in genere stentano ad uscire dalle bocche.
peace and love Batsceba